La solitudine dei numeri primi o la sindrome di Hikikomori?
I ragazzi vivono l’adolescenza
come un momento della vita per far incetta di ogni genere di esperienza:
nuove e continue amicizie, ricerca di luoghi da conoscere e da sperimentare,
scoperta del sesso, per alcuni anche droghe. Sul piano psicologico
l’adolescente vive questo periodo come se fosse sulle montagne russe, in un su
e giù di emozioni che lo portano a
sentirsi sempre in balia di qualcosa, alla stregua del limite. Uno stato
completamente nuovo, intenso che lo conduce ad una maggiore conoscenza di Sé
stesso e del mondo confinante.
In questa fase gli
adolescenti assomigliano ai numeri primi della matematica, i quali sono
divisibili solo per Sé stessi portandoli a vivere uno stato di
solitudine. La solitudine di colui che si sente poco capito dalla
società e poco la capisce. Una solitudine non voluta ma inevitabile, uno dei
tanti traguardi da raggiungere per cambiare e crescere. I numeri primi, lo
sappiamo, rimangono tali a vita, gli adolescenti evolvono, crescono si
sviluppano. Qualcuno però fatica ad uscire da questa fase e rimane intrappolato
e vive la condizione dei numeri primi.
Chi sono gli Hikikomori?
Secondo la letteratura scientifica "Hikikomori" è
un termine giapponese (“Stare in disparte”), il cui significato viene utilizzato
per rappresentare chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per
lunghi periodi di tempo, rinchiudendosi nella propria abitazione, senza aver
nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno. Il fenomeno riguarda soprattutto i
giovani dai 14 ai 35 anni, principalmente maschi. In Giappone il
fenomeno ha raggiunto dati esorbitanti. L'hikikomori insorge principalmente
durante l'adolescenza, esso tende a cronicizzarsi con molta facilità e può
dunque durare potenzialmente tutta la vita. Anche in Italia il fenomeno ha
raggiunto dei dati elevati ma abbiamo solo una stima. Si stima che circa 100.000
ragazzi dai 15 ai 30 anni evidenziano un disagio adattivo sociale che
si ripercuote sulla scuola o sul lavoro. E’ ipotizzabile che dietro a
questo disagio vi siano differenti diagnosi di personalità con quadri
specifici psicologici e neuropsicologici, non solo un unico
profilo.
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Il mondo fa paura ai “numeri primi” e porta a una crescente
difficoltà e demotivazione di confrontarsi con il sociale arrivando ad un vero
e proprio rifiuto.
La dipendenza da internet o dai videogiochi, non è la causa semmai
una conseguenza. Un mondo più controllato e più distaccato con il quale si vive
un Sé più adeguato.
Spesso i genitori non chiedono aiuto, lasciando che questa condizioni s’inneschi
finendo in una spirale negativa e spesso quando lo fanno sono già passati anni
da in cui il ragazzo si è chiuso in casa.
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